PIAZZA BELLINI E PIAZZA DANTE E I SUOI EDIFICI

Piazza Bellini e Piazza Dante e i suoi edifici 



Prima di parlare della storia di queste due piazze è indispensabile accennare alla loro storia brevemente all' epoca greco-romana  per conoscere questa contrada quando la collina di S. Aniello a Caponapoli era formata con quella di San Potito da ampie vallate prive di edifici e al loro fondo valle vi erano delle grotte sotterranee. Queste grotte furono scavate nelle falde  della collina dai Cimmerei, popolo nomade indoeuropeo originario delle steppe della Crimea, intorno all' VIII secolo a. C. 

Per arrivare da Pozzuoli a Napoli si doveva percorrere la collina di Antignano e scendere per la colina dei Cappuccini Nuovi oggi Salvator Rosa. E quando si arrivava dove oggi si trova il Museo Archeologico, per entrare in città da Porta Romana che era situata a Piazza Bellini dove si nota ancora oggi un pezzo di muraglia e un angolo del pilone sinistro del fornice della porta, si percorreva una via scavate dai Greci nella collina di S. Aniello presso l`attuale Via Costantinopoli per evitare i valloni di Piazza Dante e Piazza 

Cavour. Con la fine sia della civiltà greca e quella dell' impero romano, si avvicendarono varie popolazioni tra cui Goti, Vandali, Longobardi, Normanni, Svevi e molti altri. In origine Piazza Dante era parte di un vallone che cingeva la città di Neapolis nelle cui falde i Cimmereii avevano scavato la grotta di Via Broggia, Via Costantinopoli e Piazza Dante, detta Carcere di San Felice, sulla collina di San Sebastiano. 




Piazza Bellini e i resti della mutazione greca 




Piazza Dante 



Con il passare dei secoli le continue piogge e le violente tempeste trasportatarono dalle colline circostanti grandi quantità di terra e lapilli tanto d colmare e far sparire la vallata che fu coperta da edifici e strade. La strada  scavata nella collina di S. Aniello, portava in città per la Porta Romana che poi fu chiamata Donnorso. L'attuale Via San Sebastiano non esisteva ma suo posto c' erano i giardino del Monastero di San Sebastiano, oggi non più esistente. Il monastero fu fondato nel VI secolo da Romano a cui S. Gregorio Magno aggregó i monaci Craterensio o Gazarensi della Riviera di Chiaia, monaci greci appartenenti all' ordine di San Basilio. Nel XV secolo con la bolla di Papa Martino V vi furono trasferite le monache di San Pietro a Castello dell` Ordine di San Domenico succedute ai monaci benedettini del monastero del Salvatore presso il Castel dell' Ovo verso il lato del San Carlo . Il monastero prese il nome di San Sebastiano e Pietro ed ebbe il suo maggiore splendore nel. 1427 quando Donna Maria Francesca Orsini, figlia dei conte Manupello rimasta vedova a 30 anni prese i voti proprio in questo monastero. Ferrante I dichiarò il monastero il suo giuspatronato, ordinando che sulla porta vi fossero messe le sue insegne. La Orsini ampliò il chiostro di marni e colonne,  pitture e sculture. Il convento era molto grande e i suoi giardini arrivavano oltre Piazza Bellini e confinavano con quello di San Pietro a Majella, su cui nel 600 furono costruiti dei palazzi. Lo splendore del monastero durò fino a tutto il XV secolo, nel 1527 fu invaso dalla peste e l' anno successivo soffrì i danni della guerra dell' esercito francese che assedió la città. Per tale motivo dato che il convento era sulle mura della città, le suore si trasferirono nel convento di Donna Romita che fu occupato dalle truppe spagnole. Nel XVII secolo, abbattuta la vecchia chiesa, ne fu costruita un' altra a pianta ellittica con cupola costruita da frate Giuseppe Nuvolo che crolló nel 1944 rovinando gran parte del convento. 




Via San Sebastiano 


Sullo slargo della chiesa di San Pietro a Majella ad angolo con Via Bellini , il marchese Ferrante Alarcon de Mendozza si fece costruire un palazzo che successivamente fu comprato dal Principe Conca, nobile famiglia di Capua che donò i portali alle chiese di San Domenico e San Lorenzo Maggiore. I Conca fecero ingrandire il palazzo, alcuni studiosi sostengono che l' autore fosse Andrea Ciccione lo stesso che eseguí il portale del Duomo altri invece pensano che sia stato Giovanni Donadio di Mormando. Il Conca ne fece un palazzo di lusso con soffitti affrescati da rinomati pittori con scene della creazione del mondo, di Adamo ed Eva la leggenada di Tobia, la storia di Giona e la vita di Cristo. Da menzionare in particolare era la Quadreria del palazzo che al suo interno aveva opere di Raffaello, Durer, Tiziano, Corenzio e altri pittori, vi erano preziose argenterie, vasellami e arazzi. La biblioteca che era al suo interno accolse Torquato Tasso che venne da Roma su invito del principe nel gennaio 1592. A est di Piazza Bellini si notano i resti della facciata in piperno e di colore giallo-rosa con stipiti smussati del portone e finestre. Da una epigrafe sulla facciata si apprende che sia il palazzo e giardino furono comprate dal vicino monastero di Sant' Antonio di Padova, fatto nel 1565 da suor Paola Cappella,momastero che entró nelle cronache quando nel 1630 fu assediato dai soldati del viceregno perché vi si erano rifugiati i Caracciolo dopo un duello avutosi presso lo slargo di San Pietro a Majella, con Ferrante Acquaviva, lasciando a terra un cavaliere e altri feriti. Nel 1625 presso il monastero di San Sebastiano fu aperta una porta, la cosidetta Port'Alba dal nome del viceré duca d' Alba che la fece costruire. La porta ha una trabeazione dentellata sostenuta da due mezze colonne doriche tra le quali si apre la porta con bugne e volta a spiovente, sulla trabeazione si trova un frontone sostenuto da due pilastri laterali dove c 'è lo stemma del duca d' Alba su cui sovrasta un basamento con la statua in bronzo di San Gaetano.











Palazzo Conca a Via Bellini



Tra Via Bellini e via Costantinopoli si incontra Palazzo Firrao, nel 600 il Principe Cesare Firrao, Portolano Maggiore di Napoli, si fece costruire un palazzo nobiliare. enni storici    Modifica

La fabbrica originaria risale alla seconda metà del millecinquecento e fu edificata da Giulio Cesare di Capua, principe di Conca, a seguito dell'allargamento delle mura cittadine voluto dal viceré Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga duca d'Alba; così come tutti i palazzi sul lato ovest di via Santa Maria di Costantinopoli, fu edificata con una pianta ad U, con una facciata di rappresentanza sulla strada pubblica e due ali laterali che si protendevano sul retrostante giardino, confinante con le nuove mura. In quel periodo la zona era al centro di un progetto di riqualificazione, in particolare con il collegamento con via Toledo e con il Largo del Mercatello (oggi, piazza Dante), attraverso l'apertura del torrione angioino che diventava Port'Alba. Tra il 1631 ed il 1636 veniva allargata la sede stradale ed in quegli stessi anni furono rifatte alcune delle facciate che ivi prospettavano.


Il principe di Conca nel 1610 vendette l’immobile a GIacomo Zattera, Barone di Marigliano, il quale morì poco più tardi lasciando l’immobile in eredità al figlio Cesare Zattera ancora minorenne. Nel 1621 l'edificio fu acquistato dal principe Cesare Firrao[1] che aveva trasferito la famiglia a Napoli, aggregando il Casato al Patriziato napoletano del Seggio di Porto; i Firrao erano nel Seicento in forte espansione sociale ed economica: nel 1620 Cesare era stato insignito del titolo di principe di Luzzi e nominato montiero maggiore della Real corte di Filippo III di Spagna. Tommaso Firrao (1615-1660) aggiunse il titolo di Principe di Sant'Agata.


Le trasformazioni volute dal nuovo proprietario interessarono prevalentemente la facciata monumentale, rifatta per raccontare la potenza ed il fasto del casato Firrao e la sua fedeltà agli Asburgo;[2] i Firrao mostrarono così il loro status attraverso diverse costruzioni o opere dedicate alla loro nobile famiglia; oltre al palazzo, infatti, essi vollero per sé anche una cappella di famiglia, acquistata quest'ultima presso la basilica di San Paolo Maggiore.


Il palazzo rischiò di andare distrutto durante i moti del 1647 a causa del ruolo assunto dal principe di Sant'Agata rispetto alla monarchia, e fu solo grazie all'intervento provvidenziale del cardinale Filomarino che fu possibile evitare il peggio.


Successivamente passò in proprietà dei principi Sanseverino di Bisignano a seguito del matrimonio nel 1789 tra Tommaso Sanseverino e Livia Firrao, figlia di Tommaso Firrao (dal 1798 Viceré di Sicilia) ed ultima erede del casato Firrao. I Sanseverino di Bisignano, di cui si conserva ancora oggi lo stemma dipinto sotto la volta dell'androne, vi abitarono fino alla morte dell'ultimo discendente, Luigi Sanseverino.


Per oltre un secolo è stato condotto in locazione dall'ARIN (Azienda Risorse Idriche Napoletana); nel 2005 è stato destinato nuovamente ad uso residenziale. Si è discusso sulla paternità della facciata barocca, iniziata intorno al 1635 e finita nel 1645,secondo alcuni studiosi fu progettata e avviata da Cosimo Fanzago però da studi recenti si evince che la paternità della facciata spetti a Jacopo Lazzari, Dioniso Lazzari, Simone Tecca, Francesco Valentino e Giulio Mencagjia. Nel. 2019 la Soprintendenze Archeologica Belle Arti e Paesaggio ha autorizzato l'installazione di un'opera d'arte contemporanea, un cancello in ferro battuto e vetro fuso come bronzo realizzato da Mimmo Paladino a chiusura dell'androne del palazzo. 














Palazzo Firrao 



Passando per Port'Alba si arriva a Piazza Dante che anticamente era chiamata Largo Marcatello per il mercato che vi era ogni mercoledì lasciata fuori le mura da Don Pedro de Toledo. Qui Giulio Cesare Fontana costruì un deposito per la conservazione del grano che arrivava fino all' attuale Via Francesco Saverio Correra, il largo che si trovava davanti fu chiamato Piazza della Conservazione del Grano. A Piazza Dante al posto della chiesa di San Domenico Soriano sorgeva la chiesetta di Santa Maria della Salute con due case adiacenti che fungevano da piccolo convento di monaci. Nel 600 sempre a Piazza Dante fu costruito Palazzo Bagnara. 

Il palazzo Ruffo di Bagnara si trova in piazza dante 89.

L’edificio venne costruito tra il 1629 e il 1631, per volontà di Giovan Battista De Angelis, noto avvocato e notaio. Alla sua morte, sopraggiunta per una caduta da cavallo, la proprietà passò al figlio Antonio che riuscì ad entrare negli ambienti di corte grazie ai servigi che offriva al viceré Manuel de Zuñiga y Fonseca che lo nominò Eletto dal Popolo, carica che, successivamente, gli permise anche di essere nominato regio consigliere. Questo ruolo, che fu conservato anche durante i due viceregni successivi, portarono il de Angelis ad inimicarsi il popolo, visto che sue furono molte delle decisioni riguardanti l’aumento delle tasse. Per questo motivo, durante la rivolta di Masaniello (1647), l’edificio venne saccheggiato e dato alle fiamme. In seguito, nel 1647, il palazzo venne ereditato dai figli di Antonio e venduto al duca di Bagnara, Francesco Ruffo. Quest’ultimo era capitano dell’Armata Navale Gerosolimitana che, durante le sue missioni aveva messo da parte una buona quantità di preziosi che decise di investire acquistando e ristrutturando il palazzo.



Palazzo Bagnara 





I lavori, effettuati nel 1660, vennero affidati all’architetto Carlo Fontana, allievo del Bernini, che si preoccupò di rifare la facciata. Infatti, sopra un basamento di pietre bugnate, realizzò due piani di ordine ionico e un attico, con mattoni e colonne e cornici in piperno. Il portale, invece,realizzato in granito, fu realizzato con un grande arco sorretto da lesene rettangolari bugnate, che terminano con capitelli ionici. Qui vi è una mensola con tre leoni posti a sorreggere il balcone del piano nobile, a sua volta incorniciato tra lesene e sovrastato da un timpano semicircolare con un mascherone al centro.

Lo stabile passò di proprietà tra gli eredi della famiglia fino ad arrivare a Vincenzo Ruffo che, nel 1842, affidò all’architetto Vincenzo Salomone per abbellire l’edificio secondo i canoni barocchi del tempo. All’esterno vennero rifatte solo le ringhiere, mentre all’interno dotò il palazzo di una sfarzosa sala da pranzo ricca di cristallo, mentre realizzò un altro salone venne decorato con un soffitto in stucco e una terrazza coperta, nella quale vennero collocate delle statue allegoriche realizzate da Carlo Finelli, da Pietro Tenerani da Pierre-Théodore Bienaimé e da Lorenzo Bartolini.

In seguito, l’edificio passò a Vincenzo Ruffo che donò tutte le collezioni di quadri, mobili e preziosi allo stato, tutte conservate nel Museo di San Martino. Poi, la proprietà fu di Giuseppe Gironda, principe di Canneto.

All’inizio del XIX secolo, Vincenzo Salomone effettuò alcuni restauri e, successivamente, il palazzo fu abitato dal marchese Basilio Puti che vi fondò una scuola, con l’obiettivo di formare i cosiddetti “puristi”, ovvero letterati che durante il romanticismo cercavano di diffondere la lingua toscana classica, con il secondario obiettivo di raggiungere un’unità nazionale, per lo meno linguistica.

A questo istituto, successivamente si aggiunse anche quello di Architettura civile delle Arti del disegno che rimase in questa sede fino al trasferimento in Palazzo San Giacomo.

Successivamente, il palazzo fu diviso in varie proprietà e venduto a diversi privati. Infine, ricordiamo che alla sinistra dell’ingresso si trova la porta dalla quale si può accedere alla piccola cappella privata della famiglia Ruffo di Bagnara. 



Maria Grazia Pirozzi 


Ferdinando Ferrajoli, Palazzi e Fontane nelle piazze di Napoli. Fausto Fiorentino Editore, Napoli 1973


Aurelio de Rose, I palazzi di Napoli. Roma Newton & Compton 2001