Itinerari Turistici

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Gli obelischi di Napoli. 


Guglia dell' Immacolata 

Un tempo centro di Piazza del Gesù c'era una statua equestre raffigurante Filippo V. Successivamente per volere di Carlo III, fu innalzato un obelisco in marmo, ideato  come una vera e propria macchina da festa, diversa da quelle effimere create solitamente dai napoletani per le occasioni festive. Ad interessarsi dei lavori di costruzione fu il padre  gesuita Francesco Pepe che ne fu il vero e proprio regista. Il duca Pignatelli di Monteleone, animato dalla gelosia nei confronti di padre Pepe, lo osteggiò più volte, lamentando che la guglia, alta 35 metri, poteva crollare rischiando di rovinare il suo palazzo, anche  esso sito in piazza del Gesù e tuttora esistente, chiamato dal popolino 'O palazzo d' 'o gas, perché vi abitò il pittore francese Degas. La prima pietra dell' obelisco fu posta il 7 dicembre 1747, la costruzione e il suo costo furono interamente a carico del popolo napoletano, alla  sua base sono presenti diverse "lampade perpetue" che continuano ancora oggi ad ardere, simbolo della venerazione del popolo napoletano per la Vergine Maria che protegge la città di Napoli. È da notare una particolarità di questo obelisco, percorrendo San Biagio dei Librai (Spaccanapoli) verso Piazza del Gesù, si avrà l'impressione di non vedere la Vergine, ma la Morte con la falce in mano, pronta ad abbattersi sui peccatori, fenomeno visible in particolare nelle ore del tramonto, l'idea fu proprio del gesuita Francesco Pepe. 




Obelisco dell'immacolata in Piazza del Gesù. 




Guglia di San Domenico Maggiore. 


La peste scoppiata a Napoli nel 1656 decimó buona parte della popolazione, i superstiti in segno di ringraziamento decisero di innalzare una guglia in onore di San Domenico compatrono di Napoli. L'opera fu inizialmente commissionata a Cosimo Fanzago che vi lavoró dal 1656 al 1658, all'epoca lo scultore, era impegnato anche nella conclusione di altre guglie, l'obelisco di San Gennaro (1636) e quello di San Gaetano (1657). Gli successe nei lavori Francesco Picchiatti che mantenne l'incarico fino al 1666, modificando il progetto originario di cui restano alcune tracce nelle ornamentazioni della base di marmo e bardiglio. I lavori dopo la piccola parentesi di Lorenzo Vaccaro, che lavoró all' opera fino al 1680, furono interrotti per circa cinquanta anni, per essere ripresi poi nel 1736 con il figlio Domenico Antonio Vaccaro, che fu nominato architetto del cantiere fino alla fine dei lavori che terminarono nel 1737. Questi appose varie modifiche sia al progetto fanzaghiano che a quello del Picchiatti in modo da arrivare ad una maggiore integrità delle parti. L'opera terminó nel 1737 anche se sulla sommità della guglia non vi era ancora stata posta la statua di San Domenico, che fu messa solo nel 1747. Di questa statua non è certa l'attribuzione dato che fu posta sulla guglia due anni dopo la scomparsa di Domenico Antonio Vaccaro che però  fece un bozzetto dell'opera quindi probabilmente anche la statua potrebbe essere attribuita allo scultore. Nel corso dei lavori di scavo furono ritrovati i resti delle mura di cinta e quelli di una porta della città, forse quella detta Cumana. Il Picchiatti dopo aver disegnato una mappa, decise di non scavare più in quel sito, lasciando così il mistero irrisolto. Alla base del monumento è collocata una lapide che ritrae una disputa tra San Gennaro e San Domenico, su chi dovesse considerarsi il vero patrono di Napoli. 


Obelisco di San Domenico Maggiore in Piazza San Domenico Maggiore. 



Obelisco di San Gennaro. 


La città di Napoli fu dominata nel '600 dagli spagnoli, questo periodo fu fiorente dal punta di vista artistico e culturale tanto che si parló di Siglo de Oro. I vari viceré che si succedettero furono propensi a favorire chi avesse voluto arricchire la città di monumenti e decorazioni soprattutto se non richiedessero in cambio prebende o stanziamenti. Questo secolo però per la città di Napoli fu segnato da alcuni gravi avvenimenti, nel 1631 un'eruzione  del Vesuvio portò molta distruzione e le cronache riportano che fu solo grazie al gesto di San Gennaro, patrono di Napoli, portato in processione, che la lava si fermò alle porte della città. La Deputazione della Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro, in segno di ringraziamento decise di far erigere un obelisco posto in Piazzetta Riario Sforza e nel 1636 affidò l'opera a Cosimo Fanzago che la terminò in nove anni, alla base del monumento c'è un medaglione con una  effigie scolpito dallo scultore come se fosse una firma. Non lontano dalla guglia, alla sommità di una scalinata, si trova l' ingresso secondario del chiesa del Duomo chiamata anche della Assunta al Duomo. 




Guglia di San Gennaro in Piazzetta Riario Sforza. 





Santa Maria Assunta al Duomo o semplicemente Il Duomo. 




Pianta del Pio Monte della Misericordia. 


 Sempre nei dintorni  si trova Complesso del Pio Monte della Misericordia e adiacente ad esso  la chiesa a pianta ottagonale che conserva al suo interno l'opera del pittore Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Le sette opere di Misericordia. Importante è la forma ad ottagono per il mondo esoterico. Essa è il simbolo della Resurrezione ed evoca la vita eterna che si raggiunge immergendo il neofita nella fonte battesimale che infatti spesso avevano questa forma. Il numero otto universalmente è il numero dell'equilibrio cosmico ed è il numero delle direzioni cardinali unite alle direzioni intermedie. 


Turista Curiosa 

Lost Traveler



Gaetana Cantone, Napoli barocca, Laterza, 2002.


Carmine Maggio, L'ombra degli obelischi, G.R.E.N. Napoli, 2015.



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Itinerari Altrnativi


Dal Monastero di Santi Severino e Sossio al Monastero di San Gregorio Armeno

Dal Monastero di San Gregorio Armeno al Monastero dei Santi Severino e Sossio. 


Il monastero di San Gregorio Armeno sorge lungo via San Gregorio, l'antica strada Nostriana che prendeva il nome dal vescovo Nostriano che nel V secolo fondò in zona il primo ospedale per i poveri ammalati. Secondo una prima tesi la chiesa originaria di San Gregorio fu edficata in quell' insula dove di trovano le rovine del tempio di Cerere attorno al 930. Qui secondo la leggenda ci sarebbe stato il monastero fondato d Flavia Giulia Elena, madre dell' imperatore Costantino e di cui Santa Patrizia sarebbe stata una discendente infatti all'interno della chiesa vi è il sangue della santa. Secondo altre fonti, con molta probabilità la costruzione originaria risale all' VIII secolo quando un gruppo di monache basiliane seguaci di Santa Patrizia,  in fuga da Costantinopoli e stabilitosi a Napoli portarono con loro le reliquie di San Gregorio Armeno e ivi fondarono un monastero. Nel 1009in epoca normanna il monastero divenne un' intera insula nel centro antico della città unendo quattro oratori circostanti tra loro e dove c' erano le monache di San Sebastiano, San Salvatore, San Gregorio e San Pantaleone, questo fondato sull'altro lato della strada e in un primo momento collegato al complesso monastico di San Gregorio tramite un cavalcavia soprastante la strada. 



Ingresso del Monastero di San 

Gregorio Armeno



Chiostro del Monastero di San Gregorio Armeno 


 

In questa fase il nuovo edificio religioso assunse i voti della regola benedettina. Sin dalle origini il sostentamento del monastero avveniva attraverso donazioni di famiglie nobiliari napoletane poiché tra le ospiti di questo convento vi erano ragazze appartenenti a famiglie nobili come i Pignatelli, Di Sangro, Minutolo e Caracciolo. Il 3 marzo 1443 Ferdinando I d'Aragona ricevette all'interno dell' edificio sia la benedizione per la successione al trono del padre Alfonso V che il conferimento del titolo di duca di Calabria. Dopo il Concilio di Trento, nel 1566 fu stabilito l'obbligo di clausura per le monache. Dal 1572 il complesso subì dei cambiamenti profondi nel progetto ad opera di Giovanni Francesco Di Palma detto il Mormando mentre per le fasi esecutive fu incaricato Giovanni Battista Cavagna. Furono ricostruiti tutti i corpi di fabbrica preesistenti e fu realizzata la nuova chiesa defilata rispetto al monastero e nella realizzazione del campanile furono aggiunti due registri superiori. Tra il 1573 e il 1574 furono completati ad opera di Della Monica la gran parte degli spazi di clausura e fu ampliato il monastero grazie all' acquisto di nuovi edifici adiacenti. 




Chiesa di San Gregorio Armeno 



Cupola del monastero di Sa Gregorio Armeno 



Fu demolita la chiesa originaria più piccola rispetto alla nuova, che si trovava dove è ora il chiostro. Fu creato il portale di ingresso in piperno come lo scalone di accesso. Tra il 1576 e il 1577 fu completata la cupola in maiolica e il chiostro. Nel 1579 Domenico Fontana esegue la pavimentazione marmorea all' interno della chiesa. Nel 1606 fu completata la facciata dal Cavagna e l'atrio. Altri lavori si ebbero tra il 1682 e il 1685 eseguiti da Dioniso Lazzari che fece il nuovo refettorio che affaccia sul chiostro. Nel 1745 ci furono altri interventi di restauro che adeguarono la chiesa allo stile rococò con il progetto di Nicola Tagliacozzi Canale. Da qui procedendo per via San Gregorio si arriva San Biagio dei Librai detta Spaccanapoli e proseguendo si giunge ad un altro monastero molto importante il monastero dei Santi Severino e Sossio. I legami che uniscono questi due monasteri sono vari, innanzitutto entrambi appartenevano all' ordine benedettino e i lavori di costruzione delle chiese sono stati affidati allo stesso artista e all' interno del monastero dei Santi Severino e Sossio, in quello che era il refettorio vi è raffigurata proprio la badessa del monastero di San Gregorio Armeno. La chiesa dei Santi Severino e Sossio fa parte di un grande complesso monastico composto da due chiese e quattro chiostri, appartenuto all' ordine dei benedettini, oggi la  struttura del monastero ospita l' Archivio di Stato. 

Alla fine del V secolo il terreno dove sorge il monastero, fu donato da San Benedetto dal console Anicio Equitio padre di San Mauro, discepolo prediletto di San Benedetto. Nellla seconda metà del IX secolo per ordine del vescovo Attanasio II viene fondato un cenobio di 15 monaci che adottarono la regola benedettina, dedicato a, Severino Abate Apostolo nel Norico. Il piccolo edificio religioso viene costruito in Vico San Severino detto Vicus Missi. L'importanza del mononastero  crebbe quando il 10 settembre del 902 viene scelto come luogo dove trasportare le reliquie di San Severino, custodite fino a poco tempo prima nel Castel dell'Ovo, portate all' interno delle mura cittadine per proteggerle dale scorrerie dei Saraceni. Nel 904 vengono portate qui anche le reliquie di San Sossio, portate da Miseno e da allora il monastero fu dedicato ai due santi. La nuova chiesa fu eseguita il 12 marzo del 1494 con Alfonso Ii d' Aragona che stanziò 15000 ducati somma poi ridotta a 1620 ducati, data la necessità di sovvenzionare la guerra contro il re di Francia Carlo VIII. L ' esecuzione dei lavori fu affidata a Giovanni Donadio detto IL Mormando e dopo la sua morte, avvenuta nel 1525,l' incarico fu affidato al genero Giovanni Francesco Di Palma detto anche esso il Mormando che rispettò il progetto originario del suocero.




Chiesa dei Santi Severino e Sossio. 



La caduta degli Aragonesi fece interrompere i lavori che ripresero. grazie alla donazione di una famiglia nobiliare napoletana i Troiano Mormile. Nel 1561 Sigismondo Di Giovanni ebbe l' incarico di costruire la cupola e dal 1566 Scheprs affrescò la cupola. Nel 1571 fu consacrata la chiesa superiore, già era infatti esistente una chiesa inferiore più antica. Nel 1614i monaci erano diventati ben 150 e come si vede dalla pianta Stopendaal del 1657 il complesso si era molto ingrandito. Nel 1688 la città di Napoli fu colpita da un violento terremoto che provocò gravi danni alla chiesa. Nel 1732 ci fu una nuova scossa di terremoto che procurò la caduta della volta e la conseguente perdita degli affreschi della volta eseguiti da Belisario Corenzio. Tra il 1738 e il 1746 Francesco De Mura eseguí I nuovi affreschi della volta con scene della vita di San Benedetto. 



Affreschi della volta della chiesa dei Santi Severino e Sossio 



Le vicende storiche del 1799 si ripercossero sul monastero dato che l' esercito dei Sanfedisti occupò e saccheggiò il monastero. Nel 1860 I benedettini lasciarono definitivamente il convento. 


Cupola della Chiesa dei Santi Severino e Sossio 



Interno chiesa dei Santi Severino e Sossio 




Affresco di belisario Corenzio nella Sala Filangieri 



Sala Filangieri 




Come già detto in precedenza all' interno del monastero, in quello che un tempo era il refettorio, si trova un grande affresco di Belisario Corenzio, eseguito negli anni 30 del 600, sulla parete di fronte all' ingresso. L' affresco, portato su supporto di tela dopo un recente restauro, è diviso in due parti, nella prima abbiamo moltiplicazione del pani e dei pesci mentre nella nella seconda zona abbiamo San Benedetto che distribuisce il pane agli ordini benedettini sia maschili che femminili. Alla destra di chi guarda l' affresco si notano tre benedettine di cui una cin la corona regale che potrebbe essere Santa Gertrude mentre le altre due potrebbero essere la badessa dei vicini conventi di Monteverginelle e quella di San Gregorio Armeno. 


Turista Curiosa 

Lost Traveler 



Nicola Spinosa, Aldo Pinto Adriana Valerio, San Gregorio Armeno, storia, architettura, arte e tradizione, Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli 2013.


Maria Raffaella Pessolano, Il convento dei Santi Severino e Sossio, un insediamento monastico nella storia della città, Editoriale Scientifica S.r.l, Napoli 1978.



Jole Mazzoleni, Il monastero dei S.S Severino e Sossio, L` Arte Tipografica, Napoli 1964.



Dal Monastero di San Gregorio Armeno al Monastero dei Santi Severino e Sossio. 


Il monastero di San Gregorio Armeno sorge lungo via San Gregorio, l'antica strada Nostriana che prendeva il nome dal vescovo Nostriano che nel V secolo fondò in zona il primo ospedale per i poveri ammalati. Secondo una prima tesi la chiesa originaria di San Gregorio fu edficata in quell' insula dove di trovano le rovine del tempio di Cerere attorno al 930. Qui secondo la leggenda ci sarebbe stato il monastero fondato d Flavia Giulia Elena, madre dell' imperatore Costantino e di cui Santa Patrizia sarebbe stata una discendente infatti all'interno della chiesa vi è il sangue della santa. Secondo altre fonti, con molta probabilità la costruzione originaria risale all' VIII secolo quando un gruppo di monache basiliane seguaci di Santa Patrizia,  in fuga da Costantinopoli e stabilitosi a Napoli portarono con loro le reliquie di San Gregorio Armeno e ivi fondarono un monastero. Nel 1009in epoca normanna il monastero divenne un' intera insula nel centro antico della città unendo quattro oratori circostanti tra loro e dove c' erano le monache di San Sebastiano, San Salvatore, San Gregorio e San Pantaleone, questo fondato sull'altro lato della strada e in un primo momento collegato al complesso monastico di San Gregorio tramite un cavalcavia soprastante la strada. 



Ingresso del Monastero di San 

Gregorio Armeno



Chiostro del Monastero di San Gregorio Armeno 


 

In questa fase il nuovo edificio religioso assunse i voti della regola benedettina. Sin dalle origini il sostentamento del monastero avveniva attraverso donazioni di famiglie nobiliari napoletane poiché tra le ospiti di questo convento vi erano ragazze appartenenti a famiglie nobili come i Pignatelli, Di Sangro, Minutolo e Caracciolo. Il 3 marzo 1443 Ferdinando I d'Aragona ricevette all'interno dell' edificio sia la benedizione per la successione al trono del padre Alfonso V che il conferimento del titolo di duca di Calabria. Dopo il Concilio di Trento, nel 1566 fu stabilito l'obbligo di clausura per le monache. Dal 1572 il complesso subì dei cambiamenti profondi nel progetto ad opera di Giovanni Francesco Di Palma detto il Mormando mentre per le fasi esecutive fu incaricato Giovanni Battista Cavagna. Furono ricostruiti tutti i corpi di fabbrica preesistenti e fu realizzata la nuova chiesa defilata rispetto al monastero e nella realizzazione del campanile furono aggiunti due registri superiori. Tra il 1573 e il 1574 furono completati ad opera di Della Monica la gran parte degli spazi di clausura e fu ampliato il monastero grazie all' acquisto di nuovi edifici adiacenti. 




Chiesa di San Gregorio Armeno 



Cupola del monastero di Sa Gregorio Armeno 



Fu demolita la chiesa originaria più piccola rispetto alla nuova, che si trovava dove è ora il chiostro. Fu creato il portale di ingresso in piperno come lo scalone di accesso. Tra il 1576 e il 1577 fu completata la cupola in maiolica e il chiostro. Nel 1579 Domenico Fontana esegue la pavimentazione marmorea all' interno della chiesa. Nel 1606 fu completata la facciata dal Cavagna e l'atrio. Altri lavori si ebbero tra il 1682 e il 1685 eseguiti da Dioniso Lazzari che fece il nuovo refettorio che affaccia sul chiostro. Nel 1745 ci furono altri interventi di restauro che adeguarono la chiesa allo stile rococò con il progetto di Nicola Tagliacozzi Canale. Da qui procedendo per via San Gregorio si arriva San Biagio dei Librai detta Spaccanapoli e proseguendo si giunge ad un altro monastero molto importante il monastero dei Santi Severino e Sossio. I legami che uniscono questi due monasteri sono vari, innanzitutto entrambi appartenevano all' ordine benedettino e i lavori di costruzione delle chiese sono stati affidati allo stesso artista e all' interno del monastero dei Santi Severino e Sossio, in quello che era il refettorio vi è raffigurata proprio la badessa del monastero di San Gregorio Armeno. La chiesa dei Santi Severino e Sossio fa parte di un grande complesso monastico composto da due chiese e quattro chiostri, appartenuto all' ordine dei benedettini, oggi la  struttura del monastero ospita l' Archivio di Stato. 

Alla fine del V secolo il terreno dove sorge il monastero, fu donato da San Benedetto dal console Anicio Equitio padre di San Mauro, discepolo prediletto di San Benedetto. Nellla seconda metà del IX secolo per ordine del vescovo Attanasio II viene fondato un cenobio di 15 monaci che adottarono la regola benedettina, dedicato a, Severino Abate Apostolo nel Norico. Il piccolo edificio religioso viene costruito in Vico San Severino detto Vicus Missi. L'importanza del mononastero  crebbe quando il 10 settembre del 902 viene scelto come luogo dove trasportare le reliquie di San Severino, custodite fino a poco tempo prima nel Castel dell'Ovo, portate all' interno delle mura cittadine per proteggerle dale scorrerie dei Saraceni. Nel 904 vengono portate qui anche le reliquie di San Sossio, portate da Miseno e da allora il monastero fu dedicato ai due santi. La nuova chiesa fu eseguita il 12 marzo del 1494 con Alfonso Ii d' Aragona che stanziò 15000 ducati somma poi ridotta a 1620 ducati, data la necessità di sovvenzionare la guerra contro il re di Francia Carlo VIII. L ' esecuzione dei lavori fu affidata a Giovanni Donadio detto IL Mormando e dopo la sua morte, avvenuta nel 1525,l' incarico fu affidato al genero Giovanni Francesco Di Palma detto anche esso il Mormando che rispettò il progetto originario del suocero.




Chiesa dei Santi Severino e Sossio. 



La caduta degli Aragonesi fece interrompere i lavori che ripresero. grazie alla donazione di una famiglia nobiliare napoletana i Troiano Mormile. Nel 1561 Sigismondo Di Giovanni ebbe l' incarico di costruire la cupola e dal 1566 Scheprs affrescò la cupola. Nel 1571 fu consacrata la chiesa superiore, già era infatti esistente una chiesa inferiore più antica. Nel 1614i monaci erano diventati ben 150 e come si vede dalla pianta Stopendaal del 1657 il complesso si era molto ingrandito. Nel 1688 la città di Napoli fu colpita da un violento terremoto che provocò gravi danni alla chiesa. Nel 1732 ci fu una nuova scossa di terremoto che procurò la caduta della volta e la conseguente perdita degli affreschi della volta eseguiti da Belisario Corenzio. Tra il 1738 e il 1746 Francesco De Mura eseguí I nuovi affreschi della volta con scene della vita di San Benedetto. 



Affreschi della volta della chiesa dei Santi Severino e Sossio 



Le vicende storiche del 1799 si ripercossero sul monastero dato che l' esercito dei Sanfedisti occupò e saccheggiò il monastero. Nel 1860 I benedettini lasciarono definitivamente il convento. 


Cupola della Chiesa dei Santi Severino e Sossio 



Interno chiesa dei Santi Severino e Sossio 




Affresco di belisario Corenzio nella Sala Filangieri 



Sala Filangieri 




Come già detto in precedenza all' interno del monastero, in quello che un tempo era il refettorio, si trova un grande affresco di Belisario Corenzio, eseguito negli anni 30 del 600, sulla parete di fronte all' ingresso. L' affresco, portato su supporto di tela dopo un recente restauro, è diviso in due parti, nella prima abbiamo moltiplicazione del pani e dei pesci mentre nella nella seconda zona abbiamo San Benedetto che distribuisce il pane agli ordini benedettini sia maschili che femminili. Alla destra di chi guarda l' affresco si notano tre benedettine di cui una cin la corona regale che potrebbe essere Santa Gertrude mentre le altre due potrebbero essere la badessa dei vicini conventi di Monteverginelle e quella di San Gregorio Armeno. 


Turista Curiosa 

Lost Traveler 



Nicola Spinosa, Aldo Pinto Adriana Valerio, San Gregorio Armeno, storia, architettura, arte e tradizione, Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli 2013.


Maria Raffaella Pessolano, Il convento dei Santi Severino e Sossio, un insediamento monastico nella storia della città, Editoriale Scientifica S.r.l, Napoli 1978.



Jole Mazzoleni, Il monastero dei S.S Severino e Sossio, L` Arte Tipografica, Napoli 1964.



Dal Monastero di San Gregorio Armeno al Monastero dei Santi Severino e Sossio. 


Il monastero di San Gregorio Armeno sorge lungo via San Gregorio, l'antica strada Nostriana che prendeva il nome dal vescovo Nostriano che nel V secolo fondò in zona il primo ospedale per i poveri ammalati. Secondo una prima tesi la chiesa originaria di San Gregorio fu edficata in quell' insula dove si trovano le rovine del tempio di Cerere attorno al 930. Qui secondo la leggenda ci sarebbe stato il monastero fondato da Flavia Giulia Elena, madre dell' imperatore Costantino e di cui Santa Patrizia sarebbe stata una discendente, infatti all'interno della chiesa vi è il sangue della santa. Secondo altre fonti, con molta probabilità la costruzione originaria risale all' VIII secolo quando un gruppo di monache basiliane seguaci di Santa Patrizia in fuga da Costantinopoli e stabilitosi a Napoli, portarono con loro le reliquie di San Gregorio Armeno e ivi fondarono un monastero. Nel 1009 in epoca normanna il monastero benedettino divenne un'intera insula nel centro antico della città unendo quattro oratori circostanti tra loro i quattro oratori erano: San Sebastiano, San Salvatore, San Gregorio e San Pantaleone, quest' ultimo fu fondato sull'altro lato della strada e in un primo momento era  collegato al complesso monastico di San Gregorio, tramite un cavalcavia soprastante la strada. 



Ingresso del Monastero di San 

Gregorio Armeno



Chiostro del Monastero di San Gregorio Armeno 



. Sin dalle origini il sostentamento del monastero avveniva attraverso donazioni di famiglie nobiliari napoletane poiché tra le ospiti di questo convento vi erano ragazze appartenenti a famiglie nobili come i Pignatelli, Di Sangro, Minutolo e Caracciolo. Il 3 marzo 1443 Ferdinando I d'Aragona ricevette all'interno dell' edificio sia la benedizione per la successione al trono del padre Alfonso V che il conferimento del titolo di duca di Calabria. Dopo il Concilio di Trento, nel 1566 fu stabilito l'obbligo di clausura per le monache di questo convento . Dal 1572 il complesso subì dei cambiamenti profondi nel progetto ad opera di Giovanni Francesco Di Palma detto il Mormando mentre per le fasi esecutive  dei lavori fu incaricato Giovanni Battista Cavagna. Furono ricostruiti tutti i corpi di fabbrica preesistenti e fu realizzata la nuova chiesa defilata rispetto al monastero e nella realizzazione del campanile furono aggiunti due registri superiori. Tra il 1573 e il 1574 furono completati ad opera di Della Monica la gran parte degli spazi di clausura e fu ampliato il monastero grazie all'acquisto di nuovi edifici adiacenti. 




Chiesa di San Gregorio Armeno 



Cupola del monastero di Sa Gregorio Armeno 



Fu demolita la chiesa originaria, più piccola rispetto alla nuova, che si trovava dove è ora il chiostro. Fu creato il portale di ingresso e lo scalone di accesso entrambi in piperno. Tra il 1576 e il 1577 fu completata la cupola in maiolica e il chiostro. Nel 1579 Domenico Fontana eseguí la pavimentazione marmorea all' interno della chiesa. Nel 1606 fu completata la facciata dal Cavagna e l'atrio. Altri lavori si ebbero tra il 1682 e il 1685 eseguiti da Dioniso Lazzari che fece il nuovo refettorio che affacciava sul chiostro. Nel 1745 ci furono altri interventi di restauro che adeguarono la chiesa allo stile rococò con il progetto di Nicola Tagliacozzi Canale. Da qui procedendo per via San Gregorio si arriva San Biagio dei Librai detta Spaccanapoli e proseguendo si giunge ad un altro monastero molto importante, il monastero dei Santi Severino e Sossio. I legami che uniscono questi due monasteri sono vari, innanzitutto entrambi appartenevano all' ordine benedettino e i lavori di costruzione delle chiese sono stati affidati allo stesso artista e inoltre all' interno del monastero dei Santi Severino e Sossio, in quello che era il refettorio, nell' afftresco eseguito da Belisario Corenzio, vi è raffigurata proprio la badessa del monastero di San Gregorio Armeno. La chiesa dei Santi Severino e Sossio fa parte di un grande complesso monastico composto da due chiese e quattro chiostri, appartenuto all' ordine dei benedettini, oggi la  struttura del monastero ospita l' Archivio di Stato. 

Alla fine del V secolo il terreno dove sorgeva  il monastero, fu donato a San Benedetto dal console Anicio Equitio padre di San Mauro, discepolo prediletto di santo . Nellla seconda metà del IX secolo per ordine del vescovo Attanasio II viene fondato un cenobio di 15 monaci che adottarono la regola benedettina, dedicato a Severino Abate Apostolo nel Norico. Il piccolo edificio religioso venne  costruito in Vico San Severino detto Vicus Missi. L'importanza del mononastero crebbe quando il 10 settembre del 902 questo venne scelto come luogo dove trasportare le reliquie di San Severino, custodite fino a poco tempo prima nel Castel dell'Ovo, portate all'interno delle mura cittadine per proteggerle dalle scorrerie dei Saraceni. Nel 904 furono  portate qui anche le reliquie di San Sossio, portate da Miseno e da allora il monastero fu dedicato ai due santi. La nuova chiesa fu eseguita il 12 marzo del 1494 con Alfonso Ii d' Aragona che stanziò 15000 ducati somma poi ridotta a 1620, data la necessità di sovvenzionare la guerra contro il re di Francia Carlo VIII. L ' esecuzione dei lavori fu affidata a Giovanni Donadio detto IL Mormando e dopo la sua morte, avvenuta nel 1525,l' incarico fu affidato al genero Giovanni Francesco Di Palma detto anche esso il Mormando che rispettò il progetto originario del suocero.




Chiesa dei Santi Severino e Sossio. 



La caduta degli Aragonesi fece interrompere i lavori che ripresero. grazie alla donazione di una famiglia nobiliare napoletana, i Troiano Mormile di cui all' interno della chiesa ci sono le cappelle . Nel 1561 Sigismondo Di Giovanni ebbe l' incarico di costruire la cupola e dal 1566 Schepers affrescò la cupola. Nel 1571 fu consacrata la chiesa superiore, già era infatti esistente una chiesa inferiore più antica. Nel 1614 i monaci erano diventati ben 150 e come si vede dalla pianta Stopendaal del 1657 il complesso si era molto ingrandito. Nel 1688 la città di Napoli fu colpita da un violento terremoto che provocò gravi danni alla chiesa oltre a questa scossa ce ne fu un'altra nel 1732  che procurò la caduta della volta e la conseguente perdita degli affreschi eseguiti da Belisario Corenzio. Tra il 1738 e il 1746 Francesco De Mura eseguí dei nuovi affreschi della volta con scene della vita di San Benedetto. 


Pianta di Stopendaal del 1657 




Affreschi della volta della chiesa dei Santi Severino e Sossio 



Le vicende storiche del 1799 si ripercossero sul monastero dato che l' esercito dei Sanfedisti occupò e saccheggiò il monastero. Nel 1860 I benedettini lasciarono definitivamente il convento. 


Cupola della Chiesa dei Santi Severino e Sossio 



Interno chiesa dei Santi Severino e Sossio 




Affresco di belisario Corenzio nella Sala Filangieri 



Sala Filangieri 




Come già detto in precedenza all' interno del monastero, in quello che un tempo era il refettorio, si trova un grande affresco di Belisario Corenzio, eseguito negli anni 30 del 600, sulla parete di fronte all' ingresso. L' affresco, portato  su supporto di tela dopo un recente restauro, è diviso in due parti, nella prima, abbiamo moltiplicazione del pani e dei pesci, mentre nella nella seconda abbiamo San Benedetto che distribuisce il pane agli ordini benedettini sia maschili che femminili. Alla destra di chi guarda l'affresco si notano tre benedettine di cui una con la corona regale che potrebbe essere Santa Gertrude mentre le altre due potrebbero essere la badessa dei vicini conventi di Monteverginelle e quella di San Gregorio Armeno. 


Turista Curiosa 

Lost Traveler 



Nicola Spinosa, Aldo Pinto Adriana Valerio, San Gregorio Armeno, storia, architettura, arte e tradizione, Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli 2013.


Maria Raffaella Pessolano, Il convento dei Santi Severino e Sossio, un insediamento monastico nella storia della città, Editoriale Scientifica S.r.l, Napoli 1978.



Jole Mazzoleni, Il monastero dei S.S Severino e Sossio, L` Arte Tipografica, Napoli 1964.


https://turistacurioso.jimdofree.com/2020/07/05/da-san-gregorio-armeno-a-santi-severino-e-sossio/

Dal Monastero di San Gregorio Armeno al Monastero dei Santi Severino e Sossio. 


Il monastero di San Gregorio Armeno sorge lungo via San Gregorio, l'antica strada Nostriana che prendeva il nome dal vescovo Nostriano che nel V secolo fondò in zona il primo ospedale per i poveri ammalati. Secondo una prima tesi la chiesa originaria di San Gregorio fu edficata in quell' insula dove si trovano le rovine del tempio di Cerere attorno al 930. Qui secondo la leggenda ci sarebbe stato il monastero fondato da Flavia Giulia Elena, madre dell' imperatore Costantino e di cui Santa Patrizia sarebbe stata una discendente, infatti all'interno della chiesa vi è il sangue della santa. Secondo altre fonti, con molta probabilità la costruzione originaria risale all' VIII secolo quando un gruppo di monache basiliane seguaci di Santa Patrizia in fuga da Costantinopoli e stabilitosi a Napoli, portarono con loro le reliquie di San Gregorio Armeno e ivi fondarono un monastero. Nel 1009 in epoca normanna il monastero benedettino divenne un'intera insula nel centro antico della città unendo quattro oratori circostanti tra loro i quattro oratori erano: San Sebastiano, San Salvatore, San Gregorio e San Pantaleone, quest' ultimo fu fondato sull'altro lato della strada e in un primo momento era  collegato al complesso monastico di San Gregorio, tramite un cavalcavia soprastante la strada. 



Ingresso del Monastero di San 

Gregorio Armeno



Chiostro del Monastero di San Gregorio Armeno 



. Sin dalle origini il sostentamento del monastero avveniva attraverso donazioni di famiglie nobiliari napoletane poiché tra le ospiti di questo convento vi erano ragazze appartenenti a famiglie nobili come i Pignatelli, Di Sangro, Minutolo e Caracciolo. Il 3 marzo 1443 Ferdinando I d'Aragona ricevette all'interno dell' edificio sia la benedizione per la successione al trono del padre Alfonso V che il conferimento del titolo di duca di Calabria. Dopo il Concilio di Trento, nel 1566 fu stabilito l'obbligo di clausura per le monache di questo convento . Dal 1572 il complesso subì dei cambiamenti profondi nel progetto ad opera di Giovanni Francesco Di Palma detto il Mormando mentre per le fasi esecutive  dei lavori fu incaricato Giovanni Battista Cavagna. Furono ricostruiti tutti i corpi di fabbrica preesistenti e fu realizzata la nuova chiesa defilata rispetto al monastero e nella realizzazione del campanile furono aggiunti due registri superiori. Tra il 1573 e il 1574 furono completati ad opera di Della Monica la gran parte degli spazi di clausura e fu ampliato il monastero grazie all'acquisto di nuovi edifici adiacenti. 




Chiesa di San Gregorio Armeno 



Cupola del monastero di Sa Gregorio Armeno 



Fu demolita la chiesa originaria, più piccola rispetto alla nuova, che si trovava dove è ora il chiostro. Fu creato il portale di ingresso e lo scalone di accesso entrambi in piperno. Tra il 1576 e il 1577 fu completata la cupola in maiolica e il chiostro. Nel 1579 Domenico Fontana eseguí la pavimentazione marmorea all' interno della chiesa. Nel 1606 fu completata la facciata dal Cavagna e l'atrio. Altri lavori si ebbero tra il 1682 e il 1685 eseguiti da Dioniso Lazzari che fece il nuovo refettorio che affacciava sul chiostro. Nel 1745 ci furono altri interventi di restauro che adeguarono la chiesa allo stile rococò con il progetto di Nicola Tagliacozzi Canale. Da qui procedendo per via San Gregorio si arriva San Biagio dei Librai detta Spaccanapoli e proseguendo si giunge ad un altro monastero molto importante, il monastero dei Santi Severino e Sossio. I legami che uniscono questi due monasteri sono vari, innanzitutto entrambi appartenevano all' ordine benedettino e i lavori di costruzione delle chiese sono stati affidati allo stesso artista e inoltre all' interno del monastero dei Santi Severino e Sossio, in quello che era il refettorio, nell' afftresco eseguito da Belisario Corenzio, vi è raffigurata proprio la badessa del monastero di San Gregorio Armeno. La chiesa dei Santi Severino e Sossio fa parte di un grande complesso monastico composto da due chiese e quattro chiostri, appartenuto all' ordine dei benedettini, oggi la  struttura del monastero ospita l' Archivio di Stato. 

Alla fine del V secolo il terreno dove sorgeva  il monastero, fu donato a San Benedetto dal console Anicio Equitio padre di San Mauro, discepolo prediletto di santo . Nellla seconda metà del IX secolo per ordine del vescovo Attanasio II viene fondato un cenobio di 15 monaci che adottarono la regola benedettina, dedicato a Severino Abate Apostolo nel Norico. Il piccolo edificio religioso venne  costruito in Vico San Severino detto Vicus Missi. L'importanza del mononastero crebbe quando il 10 settembre del 902 questo venne scelto come luogo dove trasportare le reliquie di San Severino, custodite fino a poco tempo prima nel Castel dell'Ovo, portate all'interno delle mura cittadine per proteggerle dalle scorrerie dei Saraceni. Nel 904 furono  portate qui anche le reliquie di San Sossio, portate da Miseno e da allora il monastero fu dedicato ai due santi. La nuova chiesa fu eseguita il 12 marzo del 1494 con Alfonso Ii d' Aragona che stanziò 15000 ducati somma poi ridotta a 1620, data la necessità di sovvenzionare la guerra contro il re di Francia Carlo VIII. L ' esecuzione dei lavori fu affidata a Giovanni Donadio detto IL Mormando e dopo la sua morte, avvenuta nel 1525,l' incarico fu affidato al genero Giovanni Francesco Di Palma detto anche esso il Mormando che rispettò il progetto originario del suocero.




Chiesa dei Santi Severino e Sossio. 



La caduta degli Aragonesi fece interrompere i lavori che ripresero. grazie alla donazione di una famiglia nobiliare napoletana, i Troiano Mormile di cui all' interno della chiesa ci sono le cappelle . Nel 1561 Sigismondo Di Giovanni ebbe l' incarico di costruire la cupola e dal 1566 Schepers affrescò la cupola. Nel 1571 fu consacrata la chiesa superiore, già era infatti esistente una chiesa inferiore più antica. Nel 1614 i monaci erano diventati ben 150 e come si vede dalla pianta Stopendaal del 1657 il complesso si era molto ingrandito. Nel 1688 la città di Napoli fu colpita da un violento terremoto che provocò gravi danni alla chiesa oltre a questa scossa ce ne fu un'altra nel 1732  che procurò la caduta della volta e la conseguente perdita degli affreschi eseguiti da Belisario Corenzio. Tra il 1738 e il 1746 Francesco De Mura eseguí dei nuovi affreschi della volta con scene della vita di San Benedetto. 


Pianta di Stopendaal del 1657 




Affreschi della volta della chiesa dei Santi Severino e Sossio 



Le vicende storiche del 1799 si ripercossero sul monastero dato che l' esercito dei Sanfedisti occupò e saccheggiò il monastero. Nel 1860 I benedettini lasciarono definitivamente il convento. 


Cupola della Chiesa dei Santi Severino e Sossio 



Interno chiesa dei Santi Severino e Sossio 




Affresco di belisario Corenzio nella Sala Filangieri 



Sala Filangieri 




Come già detto in precedenza all' interno del monastero, in quello che un tempo era il refettorio, si trova un grande affresco di Belisario Corenzio, eseguito negli anni 30 del 600, sulla parete di fronte all' ingresso. L' affresco, portato  su supporto di tela dopo un recente restauro, è diviso in due parti, nella prima, abbiamo moltiplicazione del pani e dei pesci, mentre nella nella seconda abbiamo San Benedetto che distribuisce il pane agli ordini benedettini sia maschili che femminili. Alla destra di chi guarda l'affresco si notano tre benedettine di cui una con la corona regale che potrebbe essere Santa Gertrude mentre le altre due potrebbero essere la badessa dei vicini conventi di Monteverginelle e quella di San Gregorio Armeno. 


Turista Curiosa 

Lost Traveler 



Nicola Spinosa, Aldo Pinto Adriana Valerio, San Gregorio Armeno, storia, architettura, arte e tradizione, Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli 2013.


Maria Raffaella Pessolano, Il convento dei Santi Severino e Sossio, un insediamento monastico nella storia della città, Editoriale Scientifica S.r.l, Napoli 1978.



Jole Mazzoleni, Il monastero dei S.S Severino e Sossio, L` Arte Tipografica, Napoli 1964.


https://turistacurioso.jimdofree.com/2020/07/05/da-san-gregorio-armeno-a-santi-severino-e-sossio/

La leggenda di Porta Nolana dalla Y alla scuola pitagorica al serpente di Virgilio. 



Porta Nolana è un'antica porta di Napoli situata in piazza Nolana e inglobata tra due torri di piperno dette Torre della Fede a sud e Torre della Speranza a nord. La porta fu costruita nel XV secolo da Giuliano da Maiano per sostituire quella di Forcella chiamata anche del Cannavaro, costruita in epoca precedente nelle vicinanze della chiesa dell' Annunziata. Questa porta fu chiamata così perché da qui partiva una strada che si dirigeva verso la città di Nola. È in stile rinascimentale con un arco a tutto sesto incastonato tra due torri di piperno. Sul portale si trova un bassorilievo in marmo in cui è raffigurato il re aragonese Ferrante I a cavallo con armatura, nella parte superiore manca lo stemma, come sulla porta del Carmine, riportava la seguente epigrafe " Ferdinandus Rex/ Nobilissima Patriae". Al di sopra dell'orna di marmo, che riveste la fornice , si trovano tre stemmi che rappresentano le armi aragonesi e le armi angioine, le fasce di Francia e della casa d'Angiò, i gigli e la città di Gerusalemme e gli scudi sannitici. La porta aveva un affresco di Mattia Preti ora, non più presente, che 

secondo quanto riportato dal del  Dominici, rappresentava una Madonna con bambino e alcuni santi che intercedevano per la popolazione colpita dalla peste del 1656.




Porta Nolana arco a tutto sesto 


Porta Nolana le due torri 



La scena che era raffigurata su questa porta era forse quella più cruda di tutte le opere del pittore calabrese. Era rappresentato un cane nell'atto  di mangiare il cadavere di un bimbo affianco ad una donna, forse la madre, nel cielo c'erano San Gennaro, San Francesco Saverio, Santa, Rosalia affianco all'Immacolata con Gesù bambino in braccio osannata da una schiera di angeli. Attualmente Porta Nolana si trova di fronte alla stazione della circumvesuviana che fu la prima rete ferroviaria del 1826. Si possono ancora vedere i rilievi del XV secolo, periodo in cui la porta  fu spostata dove si trova oggi, precedentemente si trovava nel quartiere di Forcella, il quartiere così chiamato per il suo emblema che era un bastone a forma di "Y" ancora visible sul muro esterno della chiesa di San Lorenzo Maggiore. 




Parete esterna di San Lorenzo Maggiore dove si vede la "Y" 



Secondo alcuni storici qui in passato aveva sede la Scuola Pitagorica che aveva appunto come emblema la "Y", questa, lettera ha, molteplici simboli, oltre all'albero della vita, fu associata alla croce di Cristo come anche al ramoscello d'oro  che Enea dovette trovare per poter entrare nel regno degli Inferi. Fino ala fine del XVIII secolo gli abitanti di questo quartiere segnavano sulla  propria porta una "Y" per allontanare il male. Molti storici del passato, dall'XI secolo in poi, si riferiscono ad un racconto secondo cui Virgilio avrebbe imprigionato un serpente sotto Porta Nolana per liberare la città da tutti i rettili. Nel XIV secolo questa leggenda fu sostituita con una cristiana, un realtà era una pretesto per costruire una chiesa vicino alla porta. Secondo questa leggenda un uomo dopo aver pregato la Vergine era ritornato incolume a casa, nonostante avesse attraversato una zona paludosa, dove abitava un serpente mostruoso che uccideva i passanti. La chiesa fu chiamata Santa Maria ad Agnone, parola derivante dal latino "anguis" che significa serpente, riferendosi a quelle paludi.



Vico  della Serpe dove era la chiesa di Santa Maria ad Agnone 



Oggi l'edificio non esiste più ma il vicolo che lo costeggiava si ed è chiamato Vico  della Serpe. Virgilio non aveva solo incantato il serpente ma aveva messo due teste di marmo in due nicchie che erano di fianco la porta, una maschile sorridente alla destra  e una femminile triste a sinistra. Le due avevano poteri divinatori: passando dal lato sinistro si sarebbero avuti solo guai mentre se si attraversava la porta sul lato destra si avrebbero avuto esiti positivi. La testa di uomo rappresentava il sole e quindi la luce e quindi la positività, mentre la donna era la luna simbolo di notte e tenebre e di negatività. 



Maria Grazia Pirozzi 



Marina Cavaliere, Porte, rostali, toste di Napoli, Roma 1995


Valerio Ceva Grimaldi, Maria Franchini, Napoli insolita e segreta, Napoli 2014


 








La leggenda di Porta Nolana dalla Y alla scuola pitagorica al serpente di Virgilio. 



Porta Nolana è un'antica porta di Napoli situata in piazza Nolana e inglobata tra due torri di piperno dette Torre della Fede a sud e Torre della Speranza a nord. La porta fu costruita nel XV secolo da Giuliano da Maiano per sostituire quella di Forcella chiamata anche del Cannavaro, costruita in epoca precedente nelle vicinanze della chiesa dell' Annunziata. Questa porta fu chiamata così perché da qui partiva una strada che si dirigeva verso la città di Nola. È in stile rinascimentale con un arco a tutto sesto incastonato tra due torri di piperno. Sul portale si trova un bassorilievo in marmo in cui è raffigurato il re aragonese Ferrante I a cavallo con armatura, nella parte superiore manca lo stemma, come sulla porta del Carmine, riportava la seguente epigrafe " Ferdinandus Rex/ Nobilissima Patriae". Al di sopra dell'orna di marmo, che riveste la fornice , si trovano tre stemmi che rappresentano le armi aragonesi e le armi angioine, le fasce di Francia e della casa d'Angiò, i gigli e la città di Gerusalemme e gli scudi sannitici. La porta aveva un affresco di Mattia Preti ora, non più presente, che 

secondo quanto riportato dal del  Dominici, rappresentava una Madonna con bambino e alcuni santi che intercedevano per la popolazione colpita dalla peste del 1656.




Porta Nolana arco a tutto sesto 


Porta Nolana le due torri 



La scena che era raffigurata su questa porta era forse quella più cruda di tutte le opere del pittore calabrese. Era rappresentato un cane nell'atto  di mangiare il cadavere di un bimbo affianco ad una donna, forse la madre, nel cielo c'erano San Gennaro, San Francesco Saverio, Santa, Rosalia affianco all'Immacolata con Gesù bambino in braccio osannata da una schiera di angeli. Attualmente Porta Nolana si trova di fronte alla stazione della circumvesuviana che fu la prima rete ferroviaria del 1826. Si possono ancora vedere i rilievi del XV secolo, periodo in cui la porta  fu spostata dove si trova oggi, precedentemente si trovava nel quartiere di Forcella, il quartiere così chiamato per il suo emblema che era un bastone a forma di "Y" ancora visible sul muro esterno della chiesa di San Lorenzo Maggiore. 




Parete esterna di San Lorenzo Maggiore dove si vede la "Y" 



Secondo alcuni storici qui in passato aveva sede la Scuola Pitagorica che aveva appunto come emblema la "Y", questa, lettera ha, molteplici simboli, oltre all'albero della vita, fu associata alla croce di Cristo come anche al ramoscello d'oro  che Enea dovette trovare per poter entrare nel regno degli Inferi. Fino ala fine del XVIII secolo gli abitanti di questo quartiere segnavano sulla  propria porta una "Y" per allontanare il male. Molti storici del passato, dall'XI secolo in poi, si riferiscono ad un racconto secondo cui Virgilio avrebbe imprigionato un serpente sotto Porta Nolana per liberare la città da tutti i rettili. Nel XIV secolo questa leggenda fu sostituita con una cristiana, un realtà era una pretesto per costruire una chiesa vicino alla porta. Secondo questa leggenda un uomo dopo aver pregato la Vergine era ritornato incolume a casa, nonostante avesse attraversato una zona paludosa, dove abitava un serpente mostruoso che uccideva i passanti. La chiesa fu chiamata Santa Maria ad Agnone, parola derivante dal latino "anguis" che significa serpente, riferendosi a quelle paludi.



Vico  della Serpe dove era la chiesa di Santa Maria ad Agnone 



Oggi l'edificio non esiste più ma il vicolo che lo costeggiava si ed è chiamato Vico  della Serpe. Virgilio non aveva solo incantato il serpente ma aveva messo due teste di marmo in due nicchie che erano di fianco la porta, una maschile sorridente alla destra  e una femminile triste a sinistra. Le due avevano poteri divinatori: passando dal lato sinistro si sarebbero avuti solo guai mentre se si attraversava la porta sul lato destra si avrebbero avuto esiti positivi. La testa di uomo rappresentava il sole e quindi la luce e quindi la positività, mentre la donna era la luna simbolo di notte e tenebre e di negatività. 



Maria Grazia Pirozzi 



Marina Cavaliere, Porte, rostali, toste di Napoli, Roma 1995


Valerio Ceva Grimaldi, Maria Franchini, Napoli insolita e segreta, Napoli 2014


 










La leggenda di Maria d' Avalos : Amore e morte nel cuore di Napoli 



La storia di Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa è una delle storie più struggenti di tutti i tempi, si dice che ancora  oggi i loro fantasmi camminino per le strade del centro storico di Napoli. Il 18 ottobre 1590 le mura di Palazzo Sansevero furono testimoni di un delitto, quello di Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa, che erano amanti,  che furono uccisi per mano del marito di lei, Carlo Gesualdo principe di Venosa. Maria sposò il 28 maggio 1586, in terze nozze, Carlo Gesualdo, la nobildonna rimase vedova in prime nozze di Federico Carafa e in seconde di Alfonso Gioiemi. Maria e il suo consorte andarono ad abitare in quello che oggi è Palazzo Sansevero sito in via San Domenico Maggiore, il palazzo fu acquistato successivamente nel 1736 dal principe Raimondo di Sangro di Sansevero. Durante una festa dove era presente la nobiltà napoletana Maria conobbe Fabrizio Carafa appartenente anche  egli ad una nobile famiglia partenopea. 




Palazzo Sansevero 



Piazza San Domenico Maggiore 


Tra i due divampó subito la passione e diventarono amanti. Con il tempo si diffusero le voci che Maria e Fabrizio fossero amanti e tali voci arrivarono al marito di lei, infatti un giorno il marito seppe della tresca amorosa e decise di vendicare il suo onore. Una sera Carlo Gesualdo, finse di partire per una battuta di caccia agli Astroni, ma in realtà si nascose in attesa del arrivo  dell' amante della moglie. Entrò poi nel palazzo sorprendendo i due amanti e uccidendoli, vendicando così il tradimento.




Maria d' Avalos 


Carlo Gesualdo 


Fabrizio Carafa 


Si narra che dalla notte dell' omicidio  fino ai secoli successivi coloro che abitavano nei pressi del palazzo, potevano sentire le urla di Maria d' Avalos e che su Palazzo Sansevero ci fosse una maledizione che si abbatteva su chiunque vi abitasse fino alla settima generazione, fino a quando  nel 1889 un' ala del palazzo non crolló, ala dove appunto si trovava la camera da letto dove fu commesso il delitto. 


 Giovanni Balducci Il perdono di Carlo Gesualdo 1609



Altre voci dicono che tra l'obelisco di Piazza San Domenico Maggiore e il portone di ingresso del palazzo Sansevero si aggiri una figura femminile che piange potrebbe essere  il fantasma di Maria. Nel 1609 Carlo preso dai sensi di colpa commissionó al pittore Giovanni Balducci una tela " Il perdono di Carlo Gesualdo" conosciuta anche come Pala del Perdono che si trova nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Gesualdo in provincia di Avellino. 



Maria Grazia Pirozzi 



Miranda Miranda, Bellissima regina, Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa, un drammatico amore. Scritture  & Scrittori, 2019.











La leggenda di Maria d' Avalos : Amore e morte nel cuore di Napoli 



La storia di Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa è una delle storie più struggenti di tutti i tempi, si dice che ancora  oggi i loro fantasmi camminino per le strade del centro storico di Napoli. Il 18 ottobre 1590 le mura di Palazzo Sansevero furono testimoni di un delitto, quello di Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa, che erano amanti,  che furono uccisi per mano del marito di lei, Carlo Gesualdo principe di Venosa. Maria sposò il 28 maggio 1586, in terze nozze, Carlo Gesualdo, la nobildonna rimase vedova in prime nozze di Federico Carafa e in seconde di Alfonso Gioiemi. Maria e il suo consorte andarono ad abitare in quello che oggi è Palazzo Sansevero sito in via San Domenico Maggiore, il palazzo fu acquistato successivamente nel 1736 dal principe Raimondo di Sangro di Sansevero. Durante una festa dove era presente la nobiltà napoletana Maria conobbe Fabrizio Carafa appartenente anche  egli ad una nobile famiglia partenopea. 




Palazzo Sansevero 



Piazza San Domenico Maggiore 


Tra i due divampó subito la passione e diventarono amanti. Con il tempo si diffusero le voci che Maria e Fabrizio fossero amanti e tali voci arrivarono al marito di lei, infatti un giorno il marito seppe della tresca amorosa e decise di vendicare il suo onore. Una sera Carlo Gesualdo, finse di partire per una battuta di caccia agli Astroni, ma in realtà si nascose in attesa del arrivo  dell' amante della moglie. Entrò poi nel palazzo sorprendendo i due amanti e uccidendoli, vendicando così il tradimento.




Maria d' Avalos 


Carlo Gesualdo 


Fabrizio Carafa 


Si narra che dalla notte dell' omicidio  fino ai secoli successivi coloro che abitavano nei pressi del palazzo, potevano sentire le urla di Maria d' Avalos e che su Palazzo Sansevero ci fosse una maledizione che si abbatteva su chiunque vi abitasse fino alla settima generazione, fino a quando  nel 1889 un' ala del palazzo non crolló, ala dove appunto si trovava la camera da letto dove fu commesso il delitto. 


 Giovanni Balducci Il perdono di Carlo Gesualdo 1609



Altre voci dicono che tra l'obelisco di Piazza San Domenico Maggiore e il portone di ingresso del palazzo Sansevero si aggiri una figura femminile che piange potrebbe essere  il fantasma di Maria. Nel 1609 Carlo preso dai sensi di colpa commissionó al pittore Giovanni Balducci una tela " Il perdono di Carlo Gesualdo" conosciuta anche come Pala del Perdono che si trova nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Gesualdo in provincia di Avellino. 



Maria Grazia Pirozzi 



Miranda Miranda, Bellissima regina, Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa, un drammatico amore. Scritture  & Scrittori, 2019.











La leggenda di Maria d' Avalos : Amore e morte nel cuore di Napoli 



La storia di Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa è una delle storie più struggenti di tutti i tempi, si dice che ancora  oggi i loro fantasmi camminino per le strade del centro storico di Napoli. Il 18 ottobre 1590 le mura di Palazzo Sansevero furono testimoni di un delitto, quello di Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa, che erano amanti,  che furono uccisi per mano del marito di lei, Carlo Gesualdo principe di Venosa. Maria sposò il 28 maggio 1586, in terze nozze, Carlo Gesualdo, la nobildonna rimase vedova in prime nozze di Federico Carafa e in seconde di Alfonso Gioiemi. Maria e il suo consorte andarono ad abitare in quello che oggi è Palazzo Sansevero sito in via San Domenico Maggiore, il palazzo fu acquistato successivamente nel 1736 dal principe Raimondo di Sangro di Sansevero. Durante una festa dove era presente la nobiltà napoletana Maria conobbe Fabrizio Carafa appartenente anche  egli ad una nobile famiglia partenopea. 




Palazzo Sansevero 



Piazza San Domenico Maggiore 


Tra i due divampó subito la passione e diventarono amanti. Con il tempo si diffusero le voci che Maria e Fabrizio fossero amanti e tali voci arrivarono al marito di lei, infatti un giorno il marito seppe della tresca amorosa e decise di vendicare il suo onore. Una sera Carlo Gesualdo, finse di partire per una battuta di caccia agli Astroni, ma in realtà si nascose in attesa del arrivo  dell' amante della moglie. Entrò poi nel palazzo sorprendendo i due amanti e uccidendoli, vendicando così il tradimento.




Maria d' Avalos 


Carlo Gesualdo 


Fabrizio Carafa 


Si narra che dalla notte dell' omicidio  fino ai secoli successivi coloro che abitavano nei pressi del palazzo, potevano sentire le urla di Maria d' Avalos e che su Palazzo Sansevero ci fosse una maledizione che si abbatteva su chiunque vi abitasse fino alla settima generazione, fino a quando  nel 1889 un' ala del palazzo non crolló, ala dove appunto si trovava la camera da letto dove fu commesso il delitto. 


 Giovanni Balducci Il perdono di Carlo Gesualdo 1609



Altre voci dicono che tra l'obelisco di Piazza San Domenico Maggiore e il portone di ingresso del palazzo Sansevero si aggiri una figura femminile che piange potrebbe essere  il fantasma di Maria. Nel 1609 Carlo preso dai sensi di colpa commissionó al pittore Giovanni Balducci una tela " Il perdono di Carlo Gesualdo" conosciuta anche come Pala del Perdono che si trova nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Gesualdo in provincia di Avellino. 



Maria Grazia Pirozzi 



Miranda Miranda, Bellissima regina, Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa, un drammatico amore. Scritture  & Scrittori, 2019.









La Leggenda di Maria D'Avalos



La leggenda di Maria d' Avalos : Amore e morte nel cuore di Napoli 



La storia di Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa è una delle storie più struggenti di tutti i tempi, si dice che ancora  oggi i loro fantasmi camminino per le strade del centro storico di Napoli. Il 18 ottobre 1590 le mura di Palazzo Sansevero furono testimoni di un delitto, quello di Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa, che erano amanti,  che furono uccisi per mano del marito di lei, Carlo Gesualdo principe di Venosa. Maria sposò il 28 maggio 1586, in terze nozze, Carlo Gesualdo, la nobildonna rimase vedova in prime nozze di Federico Carafa e in seconde di Alfonso Gioiemi. Maria e il suo consorte andarono ad abitare in quello che oggi è Palazzo Sansevero sito in via San Domenico Maggiore, il palazzo fu acquistato successivamente nel 1736 dal principe Raimondo di Sangro di Sansevero. Durante una festa dove era presente la nobiltà napoletana Maria conobbe Fabrizio Carafa appartenente anche  egli ad una nobile famiglia partenopea. 




Palazzo Sansevero 



Piazza San Domenico Maggiore 


Tra i due divampó subito la passione e diventarono amanti. Con il tempo si diffusero le voci che Maria e Fabrizio fossero amanti e tali voci arrivarono al marito di lei, infatti un giorno il marito seppe della tresca amorosa e decise di vendicare il suo onore. Una sera Carlo Gesualdo, finse di partire per una battuta di caccia agli Astroni, ma in realtà si nascose in attesa del arrivo  dell' amante della moglie. Entrò poi nel palazzo sorprendendo i due amanti e uccidendoli, vendicando così il tradimento.




Maria d' Avalos 


Carlo Gesualdo 


Fabrizio Carafa 


Si narra che dalla notte dell' omicidio  fino ai secoli successivi coloro che abitavano nei pressi del palazzo, potevano sentire le urla di Maria d' Avalos e che su Palazzo Sansevero ci fosse una maledizione che si abbatteva su chiunque vi abitasse fino alla settima generazione, fino a quando  nel 1889 un' ala del palazzo non crolló, ala dove appunto si trovava la camera da letto dove fu commesso il delitto. 


 Giovanni Balducci Il perdono di Carlo Gesualdo 1609



Altre voci dicono che tra l'obelisco di Piazza San Domenico Maggiore e il portone di ingresso del palazzo Sansevero si aggiri una figura femminile che piange potrebbe essere  il fantasma di Maria. Nel 1609 Carlo preso dai sensi di colpa commissionó al pittore Giovanni Balducci una tela " Il perdono di Carlo Gesualdo" conosciuta anche come Pala del Perdono che si trova nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Gesualdo in provincia di Avellino. 



Maria Grazia Pirozzi 



Miranda Miranda, Bellissima regina, Maria d' Avalos e Fabrizio Carafa, un drammatico amore. Scritture  & Scrittori, 2019.









 Chiesa di San Gennaro all'Olmo


La chiesa di San Gennaro all'Olmo è ubicata in Via San Biagio dei Librai ad angolo con San Gregorio Armeno. Viene  così chiamata perché un tempo, nel luogo sorgeva un grande albero che si racconta venisse usato per il gioco della cuccagna. Il primitivo insediamento della chiesa risale al VII secolo, quando il vescovo d Napoli S. Agnello (680-701),volle costruirla in onore di San Gennaro, istituendovi  una delle più importanti diaconie. Nell'VIII secolo, le monache armene giunte a Napoli, furono ospitate in questa chiesa. Successivamente l'ospizio delle monache fu aggregato nell'ospedale di S. Attanasio e vi rimase fino al XVI secolo,passando poi sotto la giurisdizione della Santissima Annunziata.







Chiesa di San Gennaro all'Olmo



Chiesa di San Gennaro all'Olmo, interno



 Nel 1583 la chiesa fu completamente restaurata per volere dell'abate Agnello Rosso. A seguito di questi lavori, della vecchia chiesa non rimase più nulla. Oltre un secolo dopo, per volere del cardinale Giacomo Cantelmo, due colonne in porfido di antica fattura presenti nella chiesa, furono trasferite al Duomo. Il Celano le ricorda quando descrive l'interno della chiesa" a tre navi, di struttura gotica, e vi sono due colonne presso l'altare maggiore di 18 palmi in circa, che comunemente vanno stimate di finissimo diaspro,ma dal Cavalier Cosimo più volte mi fu detto, che diaspro non era, ma una pietra, che simile è più preziosa veduta non aveva in tutta Italia, e che queste si potevano chiamare due famose gemme di Napoli ". Durante i lavori di restauro del 1583 furono ritrovate sotto l'altare maggiore le reliquie di San Nostriano, restituite al culto solo nel 1612,quando venne ritrovato l'altare, l'antica urna è conservata oggi nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo. Il cardinale Gesualdo nel 1599, istituì nella chiesa la parrocchia, lasciando però intatti i diritti della Fratanza. Nel 1615 nella parrocchia fu istituita una congrega di 72 sacerdoti, dedicata a San Michele. Un altro restauro fu voluto dal parroco Andinolfi nei primi dell'800 ed un altro si ebbe all'inizio del 900 (1908)",come l'iscrizione posta accanto al portale. Questo restauro spoglió la chiesa di tutti gli oggetti e arredi sacri che nei secoli precedenti erano stati raccolti. Restano i frammenti di una lapide sepolcrale del 1488 che un tempo integra, si trovava nell'architrave della Sacrestia. Di fronte, al numero civico 41,vi è un grande palazzo settecentesco con un busto di San Gennaro, scolpito nella chiave di volta. Una tradizione antica, ma non comprovata, poneva in questo luogo la Domus Januaria,le case della famiglia del santo. Essa viene ripresa in una lapide posta nel cortile nel 1949.



Francesca Capano  in Napoli Sacra. Guida alle chiese della città. Elio de Rosa, Napoli 2010 pp 451-453

Fontana della Pietra di pesce
Fontana della Pietra di pesce

La Fontana Della Pietra Del Pesce E La Chiesa Di Santa Maria Delle Grazie Dei Pescivendoli

La fontana della pietra del pesce e la chiesa di Santa Maria delle Grazie dei Pescivendoli 


La fontana della pietra del pesce si trova in Via Carlo Troya nel Borgo degli Orefici, indicata a volte come fontana della Loggia di Genova. Costruita nel 1578,di forma triangolare ed eseguita a spese degli abitanti della zona. La struttura originaria era più ricca di decorazioni e accorgimenti architettonici, vi erano due statue eseguite da Vincenzo Casali, sostituite poi, come cita il Celano, da due arpie che gettavano l'acqua. 


Fontana della pietra del pesce 


Fontana della pietra del pesce 


In alcuni disegni del 1889,tratti da Napoli Antica di Raffaele D'Auria, si vedeva che oltre alla vasca triangolare vi era anche un obelisco centrale con una tazza alla sommità alla cui base c'erano delle sculture a forma di pesce. La fontana fu vandalizzata durante la Seconda Guerra Mondiale. Attualmente della fontana sono state restaurate la vasca e la piccola scalinate e la zona intorno è stata dotata di panchine. Sempre nel Borgo Orefici si trovava la chiesa di Santa Maria delle Grazie dei Pescivendoli. L'edificio religioso si trovava in Vico Marina del.Vino, oggi scomparso, e vicino all'attuale Via Saverio Baldacchini. Costruita nel 1526, grazie all'interessamento dei pescivendoli del borgo. Nata come luogo di culto, non aveva la facciata e vi erano due ingressi laterali, uno da Via Marina del Vino e l'altro in Vico Cianche. 


Santa Maria delle Grazie dei Pescivendoli 


All'interno di erano tre opere di Polidoro da Caravaggio, la pala d' altare con San Pietro e S. Andrea protettori dei pescatori e due tondi con l'Annunciazione. All'esterno un campanile a cuspide a cipolla e un orologio maiolicato. La chiesa fu sfregiata durante il Risanamento per permettere il passaggio su Via Baldacchini privandola delle cappelle laterali, in questa occasione fu realizzata la facciata. Definitivamente distrutta nel 1968 per migliorare la viabilità di Via Nuova Marina.